Le prime opere: la ricerca sull’autoritratto |
Nel dicembre del 1955, con un autoritratto realizzato nello stesso anno, Pistoletto inizia la sua attività espositiva, partecipando a una mostra presso il Circolo degli Artisti di Torino, luogo dove il padre presentava spesso i propri dipinti. Nel 1956 affitta il suo primo studio, una mansarda in via Bava, dove conduce la sua ricerca artistica, concentrandosi sempre più sull’autoritratto, producendo lavori fortemente materici e ai limiti dell’informale in cui il viso dipinto frontalmente occupa l’intera superficie di grandi tele, come ben esemplificato da Autoritratto (1956), Autoritratto '57 e da un autoritratto del 1956 andato distrutto e la cui riproduzione fotografica in scala 1:1 è stata in seguito esposta con il titolo Autoritratto attuale o Autoritratto senza tempo. Alcune opere prodotte tra il 1957 e il 1958 sono di particolare rilievo per l'evoluzione della sua ricerca. Chiesa (1957) e Il tempio (1958) sono dipinti di grandi dimensioni la cui tela è ancora occupata quasi totalmente da un volto o un corpo umano, ma i cui tratti somatici sono in queste opere formati dai tipici elementi architettonici di un edificio sacro. Sacerdote (1957) e Il santo (1957) presentano due persone, sempre frontali, ma a figura quasi intera, ieratiche e ricoperte di paramenti sacri. In Sacerdote la figura stilizzata geometricamente ricorda la costruzione a punta di una cattedrale gotica e presenta inoltre il tipico fondo oro delle icone. Nel novembre del 1958 espone e viene premiato al “Premio San Fedele” di Milano. Luigi Carluccio, membro della giuria, autorevole e influente critico e curatore torinese, lo presenta a Mario Tazzoli, proprietario della Galleria Galatea, rinomata galleria che esponeva in quegli anni a Torino le più avanzate ricerche in ambito figurativo, come Bacon, Balthus, Giacometti. Tazzoli gli offre un contratto esclusivo con la sua galleria. Pistoletto chiude allora l’agenzia pubblicitaria, lascia lo studio in via Bava e acquisisce un nuovo e più ampio spazio di lavoro adiacente alla sua abitazione in via Cibrario. In alcuni dipinti la figura passa dall'occupare l'intera tela ad assumere dimensioni minuscole rispetto all'ambiente in cui è collocata, ad esempio sotto la grande volta di una cattedrale o dietro a un enorme tavolo. La ricerca va progressivamente focalizzandosi sul rapporto tra la figura umana e il fondo, per il quale sperimenta incessantemente diverse soluzioni. Particolarmente significativi in tal senso sono Uomo sul sofà (1958) e Uomo che dorme (1958). Entrambi presentano una figura umana, seduta o sdraiata, con una vetrata luminosa che irradia luce alle sue spalle. A differenza delle finestre presenti in alcuni suoi precedenti dipinti, che avevano come forma le tipiche losanghe delle vetrate delle chiese, in queste due opere le finestre occupano quasi metà della tela trasformandola così in importante fonte di luce e, nel caso della grande vetrata di Uomo che dorme, abbandona ogni riferimento a religione o trascendenza. Significative per l'evoluzione del rapporto tra figura e fondo sono anche due opere realizzate tra il 1958 e il 1959, La folla e La folla ingrata. La rappresentazione del proprio volto, attraverso la quale Pistoletto aveva iniziato a ricercare una propria personale identità esistenziale e artistica, in questi due dipinti si scompone e moltiplica in una folla di volti che emergono da un fondo scuro e occupano l'intera superficie della tela. Ad accentuare il carattere di spersonalizzazione e alienazione già usualmente associato all'idea della folla, in La folla ingrata Pistoletto imprigiona la massa di volti in una griglia di rombi che ricorda una grata o una gabbia. In quest'ultimo lavoro compare per la prima volta un tema che sarà ricorrente nell'opera di Pistoletto, la gabbia, soggetto di molti Quadri specchianti e altri lavori. La gabbia rappresenta infatti, in sintesi, il polo dialettico di quell'apertura costituita dalla scoperta dei Quadri specchianti. Rilevante, nella produzione del 1959, anche Esperimento 59, in cui la figura si riduce a semplice silhouette dell'ombra proiettata sulla tela dall'artista e il fondo a monocromo argento, soluzione che compare per la prima volta in questo lavoro. “Tra il 1956 e il 1958 facevo quei ritratti, che col tempo diventarono sempre più grandi, con un testone sempre più grande. […] Successivamente, le teste si sono ristrette per lasciar posto al corpo e allo spazio intorno. In questo tipo di riduzione della figura a dimensione reale sono stato molto coadiuvato dalla mostra di Bacon alla Galatea [gennaio-febbraio 1958]. Vedendo Bacon ho percepito che il mio problema, il mio dramma erano già lì, dichiarati, di un uomo alla ricerca della propria dimensione e del proprio spazio, una gabbia di vetro impenetrabile, in cui l’uomo viveva in uno stato talmente drammatico da essere soffocato, da non aver voce e spazio. Era un uomo bloccato, braccato, malato, distrutto, angosciato, splendidamente dipinto ma, in questo stato, terribilmente isolato […] Ho continuato la mia ricerca, condensando proprio il mio lavoro sull’uomo, ma cercando di fare il contrario di Bacon: togliere tutta l’espressione e tutto il movimento dalle figure, così da raffreddare la drammaticità. [...] Ho continuato a giocare la mia partita sul rapporto tra la massa di questa persona e il suo fondo, così sono arrivato ai fondi d’oro, ai fondi neri. Facevo fondi che volevano essere luce, da cui la vetrata, o fondi assolutamente automatici e inespressivi. Erano migliaia di righette oppure erano superfici tipo linoleum, cioè fondi decorativi anonimi e da questa anonimità del fondo mi aspettavo di veder accadere qualcosa.” Nel marzo del 1960 si tiene la sua prima mostra personale, alla Galleria Galatea, in cui espone venti lavori, realizzati tra il 1958 e il 1960, comprendenti autoritratti, alcune figure di atleti, paesaggi e una natura morta. A giugno del 1960 nasce la sua prima figlia, Cristina, che intraprenderà una carriera di performer come soprano e collaborerà in diverse occasioni col padre nei decenni successivi. In alcune opere realizzate nel corso del 1960 la persona, raffigurata frontalmente, in piedi e a dimensioni reali, vestita anonimamente in giacca e cravatta, va assumendo un carattere sempre più immobile e inespressivo, come un prototipo di comune essere umano, mentre il fondo, sulla cui realizzazione va concentrandosi l’attenzione dell’artista, passa dalla ripetizione di segni decorativi, esemplificato in Autoritratto Linoleum, al monocromo di Autoritratto bronzo, Autoritratto Oro e Autoritratto Argento, quest'ultimo un dittico costituito da una tela in cui la figura è dipinta su un fondo di color argento affiancata a una seconda tela interamente occupata dal fondo argento, uno spazio vuoto che sembra anticipare la parte della superficie metallica dei futuri Quadri specchianti destinata ad accogliere le immagini riflesse dello spazio circostante. |
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